In un suo racconto, Nabokov, tracciando l'immagine di uno scrittore intento a comporre seguendo l'ombra del calamaio sul proprio foglio mentre scendeva la notte, ha forse reso magistralmente l'idea di avvicinamento del buio e le tenebre.
Con K i Menrovescio è come se avessero intenzione di voler rappresentare - allo stesso modo - il senso dell'approssimarsi sinistro della lava più nera e incandescente sotto il vulcano Tambora, la mattina dell'11 Aprile del 1815.
Dopo l'esordio di Burning the sun del 2009, i nostri traslano le trame dilatate e avvolgenti di quel disco in una dimensione molto più ardente e diretta. Con lo stesso approccio alla forma canzone convenzionale cara a Melvins o Fall of Efrafa i nostri tracciano la propria personale concezione del lato oscuro della psichedelia, in una serie di suite che ad un primo ascolto sembrano ardenti e ustionanti, ma che poi trovano il loro senso proprio in una dimensione liquida e avvolgente. Nell'epoca dello skip, o avanti veloce i Menrovescio vanno apprezzati soprattutto per il modo in cui sviluppano il principio di continuità e compattezza dell'idea portante o il concept immaginario che anima tutto un disco. Morilavry sul finale rende perfettamente la concezione di sdoppiamento e dualità accennata nella grafica del booklet, ma anche il livello di gradazione con cui può confrontarsi umanamente un decibel prima di divorarti l'orecchio direttamente fino al Cranio. Ossessivi come una band stoner, i Menrovescio riescono a strutturare passaggi decisamente articolati e complessi.
Non vogliamo nemmeno immaginare il colore dei topi nella gabbia in cui è costretto a infilare la testa Winston Smith in 1984. Pezzi come Sinlarva e Decay potrebbero indurre in uno stato di meta trance anche loro. Diremmo che se a fine anni '70 il prog non avesse mai intrapreso la sua guerra sterile e immaginaria con i mulini a vento dell'Eurasia forse si sarebbe potuto partorire molto prima una suite proteiforme come Crania.
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In one of his novels, Nabokov, drawing the facets of a writer in the middle of his creative, who follows the shadow of the ink on his paper as night is falling, perhaps, there he masterfully captured the idea of approaching darkness and tenebra.
With K, Menrovescio are like willing to represent - in a same way - the sinister approaching of darkest and glowing lava under Tambora volcano, the morning of April 11th, 1815.
After their debut record in 2009, Burning the Sun, ours carry the dilated and wrapping textures of that record in a much more ardent and straightforward dimension. With the same feeling of the song-shape dear to Melvins or Fall of Efrafa, they trace their own personal conception of the dark side of psychedelic music along some suites which at a first listen sound burning and blistering, but then find their own way in a liquid and charming path.
In the Age of Skip-That-Track, or FF, Menrovescio are able to keep vivid the principle of continuity and compactness of a core or imaginary concept that animates the whole disc. Morilavry, at the end, makes it perfectly following the concept of splitting and duality mentioned in the booklet's graphics, but it also cares of the decibel level which a human can face up before being devoured of his ear till the skull.
Obsessive like a stoner band, Menrovescio also articolate phrasings particularly fluent.
I do not even want to imagine the color of the mice in the cage Winston Smith is forced to put his head in (1984). Tracks like Sinlarva and Decay could induce into a state of meta-trance too. We would say that if at the end of the '70s prog had never embarked on its war with sterile and imaginary windmills of Eurasia, perhaps we would have been giving birth to a suite protean as Crania long, long time ago.
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