Emidio Clementi
Matilde e i suoi tre padri
ed. Rizzoli, 190 pg, 16€
| federico immigrato e rifugiato
Forse perché per noi l'inverno dell'85 è durato troppo, ma ad Emidio Clementi tendiamo sempre a sovrapporre i lineamenti di quella polaroid persa ma indimenticabile di lui che immerge le mani nel fango fino ai polsi. Con tu che aspetti nella kadett verde di Vittoria.
Magari è anche per questo che l'ultima volta che l'abbiamo incontrato per caso, ad una serata in cui gli Afterhours (?) musicavano letture di Ennio, abbiamo messo una vita e decine di versi immortali prima di deciderci a riconoscerlo.
In realtà, pur interpretando parole scritte da altri, la voce dei Massimo Volume ha un modo inequivocabile di descrivere i limiti delle cose.
Leggendo i suoi racconti, è impossibile che le sfaccettature o i procedimenti mentali dei personaggi non posseggano la familiarità intrinseca, il silenzio e l'incedere intimo di una canzone qualsiasi imparate a memoria tra i 15 e i 17 anni (Per farcela).
Tendenzialmente, nel caso del suo ultimo breve romanzo Matilde e i suoi tre padri, il punto di vista delle due protagoniste è molto diverso da quello dei protagonisti delle storie precedenti. Stavolta quelli che scappano in sud america o finiscono in carcere non hanno nulla di poetico e mostrano solo superficialità, codardia e i limiti più avvilenti di chi sceglie come pratica di vita solo l'abbandono. Anche questa volta però pur spaesandoci e finendo per farci abbracciare la scelta di chi si ribella all'ortodossia della contestazione, e all'universo disordinato della Bologna di fine anni'70 che abbiamo amato profondamente con Tondelli, i fumetti di Frigidaire o le storie di Radio Alice, Clementi finisce di nuovo con renderci una cosa sola con il flusso dei pensieri dei protagonisti, grazie soprattutto ad una forza descrittiva erede della sintesi disarmante di Carver, ma anche al compiaciuto e frequente riferimento a citazioni sia dell'ambiente musicale che universitario dell'epoca con cui il nostro ha una legame intensissimo. Di sicuro, alcune pagine sono realmente impietose nel descrivere soprattutto l'universo maschile e pseudo-artistico che ruota attorno a Laura, giovane benestante bolognese che avvicinandosi distrattamente ai gruppi politicizzati della sua città vivrà presto tra una gravidanza prematura e un disordine sentimentale strutturale anche tutte le contraddizioni e gli aspetti meno rinfrancanti di una generazione che tra utopia e eroina ha vissuta l'ultima grande stagione della contestazione italiana.
La lucidità e il disincanto che ha contraddistinto tutti i testi di Clementi tiene fuori anche da Matilde e i suoi tre padri, ogni tipo di retorica dall'intreccio narrativo, soffermandosi sopratutto sulla solitudine e la disperazione di anni ricordati per lo più per i colori, la gioia e gli aspetti ludici delle droghe leggere e il sesso libero.
E' la prima volta che rileggo di fiato il primo capitolo per rielaborare una circolarità cosí intensa con l'ultimo.
Se avete immaginato decine di finali possibili a una canzone come Pizza express, potrete ritrovare anche in questo libro un senso di concisione ed umanità assolutamente non trascurabile.
Magari è anche per questo che l'ultima volta che l'abbiamo incontrato per caso, ad una serata in cui gli Afterhours (?) musicavano letture di Ennio, abbiamo messo una vita e decine di versi immortali prima di deciderci a riconoscerlo.
In realtà, pur interpretando parole scritte da altri, la voce dei Massimo Volume ha un modo inequivocabile di descrivere i limiti delle cose.
Leggendo i suoi racconti, è impossibile che le sfaccettature o i procedimenti mentali dei personaggi non posseggano la familiarità intrinseca, il silenzio e l'incedere intimo di una canzone qualsiasi imparate a memoria tra i 15 e i 17 anni (Per farcela).
Tendenzialmente, nel caso del suo ultimo breve romanzo Matilde e i suoi tre padri, il punto di vista delle due protagoniste è molto diverso da quello dei protagonisti delle storie precedenti. Stavolta quelli che scappano in sud america o finiscono in carcere non hanno nulla di poetico e mostrano solo superficialità, codardia e i limiti più avvilenti di chi sceglie come pratica di vita solo l'abbandono. Anche questa volta però pur spaesandoci e finendo per farci abbracciare la scelta di chi si ribella all'ortodossia della contestazione, e all'universo disordinato della Bologna di fine anni'70 che abbiamo amato profondamente con Tondelli, i fumetti di Frigidaire o le storie di Radio Alice, Clementi finisce di nuovo con renderci una cosa sola con il flusso dei pensieri dei protagonisti, grazie soprattutto ad una forza descrittiva erede della sintesi disarmante di Carver, ma anche al compiaciuto e frequente riferimento a citazioni sia dell'ambiente musicale che universitario dell'epoca con cui il nostro ha una legame intensissimo. Di sicuro, alcune pagine sono realmente impietose nel descrivere soprattutto l'universo maschile e pseudo-artistico che ruota attorno a Laura, giovane benestante bolognese che avvicinandosi distrattamente ai gruppi politicizzati della sua città vivrà presto tra una gravidanza prematura e un disordine sentimentale strutturale anche tutte le contraddizioni e gli aspetti meno rinfrancanti di una generazione che tra utopia e eroina ha vissuta l'ultima grande stagione della contestazione italiana.
La lucidità e il disincanto che ha contraddistinto tutti i testi di Clementi tiene fuori anche da Matilde e i suoi tre padri, ogni tipo di retorica dall'intreccio narrativo, soffermandosi sopratutto sulla solitudine e la disperazione di anni ricordati per lo più per i colori, la gioia e gli aspetti ludici delle droghe leggere e il sesso libero.
E' la prima volta che rileggo di fiato il primo capitolo per rielaborare una circolarità cosí intensa con l'ultimo.
Se avete immaginato decine di finali possibili a una canzone come Pizza express, potrete ritrovare anche in questo libro un senso di concisione ed umanità assolutamente non trascurabile.
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