The Housemaid di Im Sang-soo fa gelare il sangue.
Parlando da dietro il buco della serratura possiamo dire che il regista dell'incredibile the President's last bang, probabilmente è stato anche molto più disinvolto nelle ragguardevoli scene di sesso, ammazzamenti e suicidi nel corso dei suoi precedenti sei film.
Alzandoci in piedi però, dobbiamo ammettere che in questo ennesimo remake del classicone di Kim Ki-young (il quarto che si realizza solo nel mercato coreano dal 1960) l'autore di Seoul pur tenendo un registro più basso del solito nelle sue tipiche incursioni erotico voyeuristiche, nell'insieme è riuscito davvero a fornire una rappresentazione dei nuovi termini del conflitto di classe post I-phone, E-bay e Facebook sorprendentemente glaciale e privo di qualsiasi speranza (sopratutto per chi non può permettersi l'i-phone).
Da un lato infatti, con un linguaggio visuale bicolorotico, calato perfettamente nello stile subliminale asettico delle pubblicità (ma al tempo stesso incredibilmento ricco della simbolicità del cinema europeo), con Housemaid, Im Sang-soo probabilmente mostra di conoscere perfettamente il mercato occidentale e di volerne conquistare al più presto i favori.
Dall'altro e forse proprio perchè riesce a filmare con uno sguardo post-consumistico assolutamente trasversale, ritrae con una forza dirompente tutta l'arroganza, la presunzione e l'ingordigia bulimica di una classe dirigente rinchiusa in ville protette e isolate, ma che a Seoul, Torino o Miami ormai vive e consuma con lo stesso identico e interscambiabile linguaggio di potere.
Anche nella rappresentazione dei corpi, la tenera e spossata Eunyi, la giovane cameriera del titolo, subisce immediatamente il fascino aristocratico e statuario di Hoon, il ricchissimo padrone.
In un certo senso è come se la distanza sociale ridistribuisse valori anche nell'ambito della prestanza fisica e l'ossuta, ma sensualissima donna delle pulizie non potrà che cedere alla classe del tenutario che la dominerà solo per il gusto sciatto del possesso. Nella versione di Housemaid degli anni '60 di Kim Ki-young, il triangolo familiare è sconvolto dall'arrivo dirompente di una cameriera che simboleggiava prima di tutto la smania di una libertà sessuale che avrebbe rimodellato i rapporti in tutta la società asiatica. In questa di Im Sang-soo non c'è nemmeno più l'ingenuità ammiccante della nostra Laura Antonelli in Malizia. Eunyi vive persino la sua sessualità, proprio come il lavoro o i modelli di consumo, solo come una concessione e in riflesso della supponenza dei padroni verso i sottomessi. Come se la cgil, la ghigliottina o la pausa mensa non fossero mai esistiti, le rivendicazioni della povera governante sul suo bambino sono vissute come un fastidio passeggero da parte della moglie di Hoon, che cercherà di sbarazzarsene nel modo più vile e ipocrita possibile.
E' incredibile come il gesto eclatante e disperato di Eunyi lasci del tutto indifferenti e distaccati i suoi aguzzini.
Ok, alla fine la coppia aristocratica continua a vivere come in un quadro in una sorta di clichè di se stessa, ma vince comunque e di nuovo. La sensazione finale è quella di trovarsi asfitticamente come in alcune scene incredibili del film, dove noi al massimo stiamo in soffitta alle due di notte stremati manco con la forza di aprire facebook, mentre loro sono in sauna e se ci va bene più tardi ci portano vino buono o ci suonano un pò il pianoforte.
Mai come ora ci tornano in mente le pagine di Victor Hugo nel suo bellissimo romanzo Novantatrè. I cambiamenti passano anche attraverso alcuni traumi necessari. C'è scritto pure nei cioccolatini. Purtroppo Housemaid, al di là della valenza mistica, è la testimonianza cruda che secoli di trasformazioni e mutamenti epocali sono stati appiattiti da pochi mesi di globalizzazione sui principi più elementari della natura.
Only the strong survive, come diceva pure la maglietta che si metteva il biondo di quei pupazzi dei Machine Head.
Parlando da dietro il buco della serratura possiamo dire che il regista dell'incredibile the President's last bang, probabilmente è stato anche molto più disinvolto nelle ragguardevoli scene di sesso, ammazzamenti e suicidi nel corso dei suoi precedenti sei film.
Alzandoci in piedi però, dobbiamo ammettere che in questo ennesimo remake del classicone di Kim Ki-young (il quarto che si realizza solo nel mercato coreano dal 1960) l'autore di Seoul pur tenendo un registro più basso del solito nelle sue tipiche incursioni erotico voyeuristiche, nell'insieme è riuscito davvero a fornire una rappresentazione dei nuovi termini del conflitto di classe post I-phone, E-bay e Facebook sorprendentemente glaciale e privo di qualsiasi speranza (sopratutto per chi non può permettersi l'i-phone).
Da un lato infatti, con un linguaggio visuale bicolorotico, calato perfettamente nello stile subliminale asettico delle pubblicità (ma al tempo stesso incredibilmento ricco della simbolicità del cinema europeo), con Housemaid, Im Sang-soo probabilmente mostra di conoscere perfettamente il mercato occidentale e di volerne conquistare al più presto i favori.
Dall'altro e forse proprio perchè riesce a filmare con uno sguardo post-consumistico assolutamente trasversale, ritrae con una forza dirompente tutta l'arroganza, la presunzione e l'ingordigia bulimica di una classe dirigente rinchiusa in ville protette e isolate, ma che a Seoul, Torino o Miami ormai vive e consuma con lo stesso identico e interscambiabile linguaggio di potere.
Anche nella rappresentazione dei corpi, la tenera e spossata Eunyi, la giovane cameriera del titolo, subisce immediatamente il fascino aristocratico e statuario di Hoon, il ricchissimo padrone.
In un certo senso è come se la distanza sociale ridistribuisse valori anche nell'ambito della prestanza fisica e l'ossuta, ma sensualissima donna delle pulizie non potrà che cedere alla classe del tenutario che la dominerà solo per il gusto sciatto del possesso. Nella versione di Housemaid degli anni '60 di Kim Ki-young, il triangolo familiare è sconvolto dall'arrivo dirompente di una cameriera che simboleggiava prima di tutto la smania di una libertà sessuale che avrebbe rimodellato i rapporti in tutta la società asiatica. In questa di Im Sang-soo non c'è nemmeno più l'ingenuità ammiccante della nostra Laura Antonelli in Malizia. Eunyi vive persino la sua sessualità, proprio come il lavoro o i modelli di consumo, solo come una concessione e in riflesso della supponenza dei padroni verso i sottomessi. Come se la cgil, la ghigliottina o la pausa mensa non fossero mai esistiti, le rivendicazioni della povera governante sul suo bambino sono vissute come un fastidio passeggero da parte della moglie di Hoon, che cercherà di sbarazzarsene nel modo più vile e ipocrita possibile.
E' incredibile come il gesto eclatante e disperato di Eunyi lasci del tutto indifferenti e distaccati i suoi aguzzini.
Ok, alla fine la coppia aristocratica continua a vivere come in un quadro in una sorta di clichè di se stessa, ma vince comunque e di nuovo. La sensazione finale è quella di trovarsi asfitticamente come in alcune scene incredibili del film, dove noi al massimo stiamo in soffitta alle due di notte stremati manco con la forza di aprire facebook, mentre loro sono in sauna e se ci va bene più tardi ci portano vino buono o ci suonano un pò il pianoforte.
Mai come ora ci tornano in mente le pagine di Victor Hugo nel suo bellissimo romanzo Novantatrè. I cambiamenti passano anche attraverso alcuni traumi necessari. C'è scritto pure nei cioccolatini. Purtroppo Housemaid, al di là della valenza mistica, è la testimonianza cruda che secoli di trasformazioni e mutamenti epocali sono stati appiattiti da pochi mesi di globalizzazione sui principi più elementari della natura.
Only the strong survive, come diceva pure la maglietta che si metteva il biondo di quei pupazzi dei Machine Head.
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