Il telefonino è entrato cosí prepotentemente nei nostri sistemi affettivi che, stando ad un'autorevole istituto di ricerca svizzero,
il suono di un sms in arrivo sul nostro cellulare pare essere ormai il
secondo tipo di rumore in assoluto più gradito in termini
chimico-emozionali a tutto il nostro organismo.
Ignoriamo con quali criteri si possano misurare tali parametri, sabato sera però quando Il Cristo Fluorescente ci ha smessaggiato che il concerto dei Los Bucias e dei No hay banda
sarebbe cominciato in ritardo, ammettiamo che ci è presa benissimo. La
ridda di treni cancellati in serata infatti rischiava di farci perdere
uno delle performance che attendavamo con maggiore trepidazione negli
ultimi tempi, sia perchè mancavamo da troppo ad un'esibizione del
madornale trio Recchia-Allulli-Tomasi, sia perchè quella al Fusolab era
l'esordio assoluto di questo nuovo e misterioso quintetto prog-acid-azz
buciardo.
Il fatto che per scendere alla sala concerti abbiamo atteso più che
sulla scaletta di un aereo carico di tabagisti esperti atterrato a
Kathmandu ha confermato che il concerto era di quelli buoni.
L'impressione
che i nostri sappiano maneggiare abilmente una sorta di propensione
innata all'approccio a tutto campo di più linguaggi creativi, è
dimostrata anche dal tipo di proiezioni che vengono mandate alle loro
spalle. I Los Bucias non sono certo i primi a ricorrere a questo
espediente, ma va detto che sorpassano a sinistra le miriadi di band che
in questi ultimi tempi ricorrono sempre alle solite immagini evocative o
più o meno criptiche, optando invece per un materiale scarno,
amatoriale, ma incredibilmente esplicativo su quella che è la linea
rossa del loro discorso musicale. Ventrali,
come direbbe Max Collini. La carnalità e una certa attidudine terrosa e
avvinazzata da un'impronta tutta particolare alla loro personalissima
matrice prog-barbarica. Certe cose rimandano allo stesso tempo al
primissimo dei King Crimson, ma anche ad una certa estetica propensa al
carosello spettacolare degli inseguimenti di alcuni polizieschi degli
anni '70. Tutte le volte che gorgheggiano in un arrangiamenti che
mettono a nudo la loro ragguardevole competenza tecnica hanno poi il
fiuto umoristico per ribaltarla in un a sorta di farsa ord-rock
che chiama in causa Goblin, Piero Piccioni e il maestro Trovajoli.
Se avessimo il loro stesso senso dello humour sapremmo trovare il modo
perfetto per paragonarli a Zappa. I punti di contatto con i No hay banda
che li seguono sono molto più di quello che possiate pensare. Il fatto
che quando la loro esibizione comincia la luce sia rimasta accesa è
quasi un segno emblematico di come la loro forza e la loro dirompenza è
sotto gli occhi di tutti. Trasparente. Laddove gli Zu hanno la
propensione alla distruzione barbarico assassina, il terzetto
dell'esimio Allulli ha una specie di gusto innato alla costruzione
architettonica barocco-rom-giostresca con il rovescio della medaglia di
una competenza al massacro maturata sul campo tra l'altro con Inferno e
Flu!. Messo da parte l'irruenza irresistibile di piece come Tsuzuku,
stasera l'ensemble dell'ex tastierista degli Inferno, Mr. reeks. dimostra
come abbia la forza e la sapienza buddhistico-himalayana per
confrontarsi con gli arrangiamenti che partono dal basso di un jazz
metafisico e mefistofelico e che ha le stesse mille sfaccettature di un
ghigno di Diamanda Galas.
La tecnica inconfondibile del dr. Reeks, che per chi non lo sapesse
suona contemporaneamente basso e chitarra come se fossero due tastiere è
il simbolo inconfondibile di un terzetto che in ogni momento sembra di
confrontarsi con il doppio dei registri possibili sintetizzandoli sempre
nella soluzione più inaspettata e devastante. Veramente grandi. Se la
gente invece di stare a parlare se i Cani siano un fenomeno
generazionale o demenziale andasse più spesso a vederli, tutta la scena
creerebbe solo per osmosi come il numero delle endorfine quando ci
chiama il nostro spacciatore.
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