Philippe Petit
Extraordinary Tales Of A Lemon Girl - Chapter I: Oneiric Rings On Grey Velvet
(8tx CD, 44'34'' - Aagoo rec 2012)
| pall youhideme
Philippe Petit is 360° on his new record: he composed, played, edited, mixed, mastered, maybe also dreamt it.
Chapter 1 of a trilogy, from hand to foot it dips into a sinister climax of experimental sounds, this time, following a kind of narrative - yet, always in the key of unorthodox - and shame on him if will ever dare someday to play verse chorus verse things: Petit draws in Music the hypnagogic matter by prepared guitars, turntables, percussions, synth and more curvatures: the air of his ambients is thick of a vivid electricity, with a slight, vintage cinematic touch of Hitchcock-esque memory (orchestral à la Bernard Herrmann!).
I guess Alice is his lemon girl, blonde haired girl, albeit his version would totally fit with that one revisited by Vince Collins [> cfr]: that means, something disturbing and scary, oblique, often grotesque. Something we like.
I'm sure there's lot of detail in the making of these eight movements, he moves like an instant painter, the devil is in the details, and Petit's textures are kind of a hell surfacing little by little. If you can play this home out loud, on your stereo, without the neighbors call the police, you might experience a sort of modern and morbid version of Mahler' symphonic sufferance (amateurs de musique classique vont me pardonner).
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° ° /_ .K ..·
·.. º .·
Philippe Petit è a 360° su questo Suo nuovo disco: lo ha composto, suonato, editato, masterizzato, e probabilmente lo ha anche sognato.
Capitolo uno di una trilogia, dalla testa ai piedi si immerge in sinistri climax di suoni sperimentali, questa volta però seguendo una sorta di linea narrativa, pur sempre nel non-ortodosso di questa, - e anatema su di Lui se mai un giorno finirà a scrivere una canzoncina verse/chorus/verse: Petit disegna in Musica la materia ipnagogica, usando chitarre modificate, giradischi, percussioni, synth e altre curvature: l'aria dei suoi ambient è densa di una vivida elettricità, con un leggero tocco vintage del cinematico, di Hitchcock-esca memoria (orchestrale à la Bernard Herrmann!).
Suppongo che Alice sia la sua lemon girl, la ragazza dai capelli biondi, sebbene la sua versione sia più in linea con quella rivisitata da Vince Collins [> cfr]: il che significa qualcosa di inquietante e spaventoso, obliquo, spesso grottesco. Roba che ci piace. E sono sicuro ci sia moltissimo dettaglio nella scrittura di questi otto movimenti, quasi fosse uno di quei pittori istantanei, e il diavolo è nei suoi dettagli, e l'inferno è quello che emerge a poco a poco in superficie. Se avrete modo di suonare questo disco sullo stereo di casa a volume sostenuto senza che i vicini chiamino la polizia, allora potreste sperimentare una sorta di moderna e morbosa versione della sofferenza sinfonica di Mahler (amateurs de musique classique vont me pardonner).
Chapter 1 of a trilogy, from hand to foot it dips into a sinister climax of experimental sounds, this time, following a kind of narrative - yet, always in the key of unorthodox - and shame on him if will ever dare someday to play verse chorus verse things: Petit draws in Music the hypnagogic matter by prepared guitars, turntables, percussions, synth and more curvatures: the air of his ambients is thick of a vivid electricity, with a slight, vintage cinematic touch of Hitchcock-esque memory (orchestral à la Bernard Herrmann!).
I guess Alice is his lemon girl, blonde haired girl, albeit his version would totally fit with that one revisited by Vince Collins [> cfr]: that means, something disturbing and scary, oblique, often grotesque. Something we like.
I'm sure there's lot of detail in the making of these eight movements, he moves like an instant painter, the devil is in the details, and Petit's textures are kind of a hell surfacing little by little. If you can play this home out loud, on your stereo, without the neighbors call the police, you might experience a sort of modern and morbid version of Mahler' symphonic sufferance (amateurs de musique classique vont me pardonner).
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Philippe Petit è a 360° su questo Suo nuovo disco: lo ha composto, suonato, editato, masterizzato, e probabilmente lo ha anche sognato.
Capitolo uno di una trilogia, dalla testa ai piedi si immerge in sinistri climax di suoni sperimentali, questa volta però seguendo una sorta di linea narrativa, pur sempre nel non-ortodosso di questa, - e anatema su di Lui se mai un giorno finirà a scrivere una canzoncina verse/chorus/verse: Petit disegna in Musica la materia ipnagogica, usando chitarre modificate, giradischi, percussioni, synth e altre curvature: l'aria dei suoi ambient è densa di una vivida elettricità, con un leggero tocco vintage del cinematico, di Hitchcock-esca memoria (orchestrale à la Bernard Herrmann!).
Suppongo che Alice sia la sua lemon girl, la ragazza dai capelli biondi, sebbene la sua versione sia più in linea con quella rivisitata da Vince Collins [> cfr]: il che significa qualcosa di inquietante e spaventoso, obliquo, spesso grottesco. Roba che ci piace. E sono sicuro ci sia moltissimo dettaglio nella scrittura di questi otto movimenti, quasi fosse uno di quei pittori istantanei, e il diavolo è nei suoi dettagli, e l'inferno è quello che emerge a poco a poco in superficie. Se avrete modo di suonare questo disco sullo stereo di casa a volume sostenuto senza che i vicini chiamino la polizia, allora potreste sperimentare una sorta di moderna e morbosa versione della sofferenza sinfonica di Mahler (amateurs de musique classique vont me pardonner).
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