Antonella Lattanzi
Prima che tu mi tradisca
[425 pp - Edizioni Einaudi, 2013]
| federico immigrato e rifugiatoTra la nostra ristrettissima cerchia di amicizie, la convinzione che senza le notti di San Lorenzo ci si potrebbe laureare prima ha avuto più di un riscontro concreto. Ci riferiamo certo - anche al tempo perso a esprimere desideri quando fa buio il 10 agosto, ma soprattutto all'attività extradidattica del celebre quartiere di studenti a Roma. Fino ad un po' prima di aver letto Devozione (2010) di Antonella Lattanzi, eravamo quasi sul punto di congratularci con noi stessi per quanto conoscessimo bene le strade e la mappatura dei pub, tra il Sally Brown, Videobuco e la copisteria di via Marrucini. Con il suo primo romanzo invece la giovane scrittrice pugliese ha fatto cenere delle nostre sicurezze e di oltre mezzo chilo di tessere di locali e sale prova di quel quartiere, raccontandoci vite e esperienze terribili proprio a un sanpietrino dal nostro naso, in un libro dalla forza e il sangue licantropo.
Con il nuovo Prima che tu mi tradisca, l'autrice, in un certo senso, riesce a compiere un'operazione simile con la sua Bari, arrivando addirittura a raccontarcela come una malattia, uno stato mentale o una specie di superstizione senza luce.
Le prime pagine, da questo punto di vista, intese come una specie di incipit o genesi biblica sono memorabili.
Dopo il naufragio di vite tossiche di Devozione la Lattanzi qui scrive soprattutto di dipendenza e assuefazione a bugie, silenzi e tradimenti all'interno di un piccolo nucleo famigliare.
Per come riesce a ricreare l'atmosfera e per la cura dei dettagli nella prima parte della storia, tutta ambientata negli anni '90, la nostra da come la sensazione di aver in mente di voler scrivere questo libro sin da quando aveva 14 anni, assorbendo sguardi e amarezze da allora sino ad oggi.
Con il nuovo Prima che tu mi tradisca, l'autrice, in un certo senso, riesce a compiere un'operazione simile con la sua Bari, arrivando addirittura a raccontarcela come una malattia, uno stato mentale o una specie di superstizione senza luce.
Le prime pagine, da questo punto di vista, intese come una specie di incipit o genesi biblica sono memorabili.
Dopo il naufragio di vite tossiche di Devozione la Lattanzi qui scrive soprattutto di dipendenza e assuefazione a bugie, silenzi e tradimenti all'interno di un piccolo nucleo famigliare.
Per come riesce a ricreare l'atmosfera e per la cura dei dettagli nella prima parte della storia, tutta ambientata negli anni '90, la nostra da come la sensazione di aver in mente di voler scrivere questo libro sin da quando aveva 14 anni, assorbendo sguardi e amarezze da allora sino ad oggi.
Anche nei brevissimi stralci in cui prende il punto di vista dei due maschi innamorati e traditi della storia, l'autrice assume una profondità e una contiguità che per un po' ci rassicura e ci da al tempo stesso il terrore di guardare una donna negli occhi per le prossime settimane. La riuscita di certi passaggi, a tratti, è dovuta anche al carattere ermetico e sui generis della protagonista, Michela, che subisce e si aggredisce sempre con quello che la circonda. Oltre a rendere molto bene l'idea di come il tempo usuri e alimenti in maniera distorta i sentimenti, la Lattanzi in certi punti cattura e distribuisce in maniera vorticosa anche quello dei suoi protagonisti, mettendo quasi testa a testa e intrecciando l'azione da più punti di vista, creando quasi un suspence tossiche e fuori sincro. Il finale con il Giovanni e Michela che si perdono per le vie di Bari, sembra quasi un contro senso come l'ultima scena di Cuore Selvaggio, quando Cage le prende dal primo coatto che passa. Non sappiamo che colore avranno il 10 agosto, le stelle che cadono a Japigia. Se sono raccontate cosí, avranno sempre un'intensità fortissima.
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