Francesco Pacifico
Class. Vite infelici di romani mantenuti a New York
(Mondadori, 2014, 321 p., 19 euro)
| federico immigrato e rifugiato
La ricca borghesia romana ha sempre avuto un posto al sole nella nostra lettereratura. Anche se poi, il più delle volte, ha finito per recitare un ruolo fisso in ambientazioni del tutto spiacevoli. Un po' come il famigerato tossico nei servizi di Tg3 regione Lazio degli anni 80 o i coatti antichissimi nei film di Massimo Boldi.
A forza di leggere dello smarrimento, il declino e le rese interne della classe benestante capitolina a volte viene da chiederci se la metà di ogni appartamento a Balduina o Corso Trieste non sia rimasta già vuota. Di sicuro, se in futuro imminente tutti i figli di papà romani prendessero davvero la via dei protagonisti di Class, prima o poi la terza quota della rata d'iscrizione al Centro Sperimentale verrebbe abbassata per lutto e a noi, rimarrebbero molti meno libri da poter leggere.
Michel Houellebecq scriveva che, pensando al passato, si finisce quasi automaticamente per avere una visione determinista degli eventi della propria vita. Il nuovo romanzo di Francesco Pacifico narra crudelmente le vicende di quei trentenni romani che nemmeno nel 2020 riusciranno a smuovere una reazione di causa ed effetto nelle loro carriere artistiche senza intaccare il patrimonio dei loro genitori.
Una volta al bar si diceva che siamo tornati ai tempi in cui il figlio del Notaio faceva il notaio e quello del carpentiere il carpentiere. Dal punto di vista che emerge da Class ormai non c'è più differenza, tanto ormai vogliono tutti fare i filmmaker, i food blogger o organizzare concerti al Circolo.
Giuseppe Genna, tracciando il profilo brutale di Anders Behring Breivik è riuscito a scovare il regresso spaventoso di una parte della gioventù italiana e al modo patetico con cui si confronta con la categoria de Il Sogno (partecipare a Master Chefs o entrare nel gruppo cover dei Muse). Pacifico sviluppa a suo modo e in termini meno metafisici quei concetti, allestendo una storia che ha la brillantezza di quelle serie tv intelligentissima e con mille citazioni giuste. Franzen, in Libertà, aveva ritratto magistralmente una coppietta che era calata perfettamente nel mondo del macrobiotico e la raccolta differenziata. Qui Ludovica e Lorenzo sono quelli che hanno gli amici giusti che scrivono su Vice e Alias e conoscono perfettamente la differenza tra chi suona al Circolo e chi a Le Mura.
Forse il limite di Class è che va fin troppo dentro con le citazioni e i riferimenti reali (ma c'è pure Betani Mapunzo?). Ciò non toglie che sia un grande libro e che non solo si confronti con lo stile di Lethem, ma che anzi riesce a creare un personaggio che è esattamente la sua personificazione e lo spunto per riflessioni letterarie profonde.
Non sappiamo se l'autore non voglia far raggiungere gli obiettivi ai suoi protagonisti perchè pensi che un'artista debba guadagnare e non comprare i suoi risultati, il finale però dimostra che l'spirazione o la creatività non deve seguire un percorso di causa ed effetto, ma a volte deve liberarsi e può essere anche una verità sfuggente e misteriosa.
Nel giardino del Circolo degli artisti, uno dei personaggi ammetterà che tra un disoccupato e un hipster preferirà sempre parlare con il secondo. Sappiamo che quello non è il punto di vista dell'autore, ma è cosi serrato il riferimento ai dettagli dell'universo dell'inutile della nostra città che a volte viene il sospetto che non tutto abbia dignità letteraria. Il talento di Pacifico si, sicuramente. Non vediamo che viene la primavera per amare con nuovi occhi i Platani della Nomentana.
A forza di leggere dello smarrimento, il declino e le rese interne della classe benestante capitolina a volte viene da chiederci se la metà di ogni appartamento a Balduina o Corso Trieste non sia rimasta già vuota. Di sicuro, se in futuro imminente tutti i figli di papà romani prendessero davvero la via dei protagonisti di Class, prima o poi la terza quota della rata d'iscrizione al Centro Sperimentale verrebbe abbassata per lutto e a noi, rimarrebbero molti meno libri da poter leggere.
Michel Houellebecq scriveva che, pensando al passato, si finisce quasi automaticamente per avere una visione determinista degli eventi della propria vita. Il nuovo romanzo di Francesco Pacifico narra crudelmente le vicende di quei trentenni romani che nemmeno nel 2020 riusciranno a smuovere una reazione di causa ed effetto nelle loro carriere artistiche senza intaccare il patrimonio dei loro genitori.
Una volta al bar si diceva che siamo tornati ai tempi in cui il figlio del Notaio faceva il notaio e quello del carpentiere il carpentiere. Dal punto di vista che emerge da Class ormai non c'è più differenza, tanto ormai vogliono tutti fare i filmmaker, i food blogger o organizzare concerti al Circolo.
Giuseppe Genna, tracciando il profilo brutale di Anders Behring Breivik è riuscito a scovare il regresso spaventoso di una parte della gioventù italiana e al modo patetico con cui si confronta con la categoria de Il Sogno (partecipare a Master Chefs o entrare nel gruppo cover dei Muse). Pacifico sviluppa a suo modo e in termini meno metafisici quei concetti, allestendo una storia che ha la brillantezza di quelle serie tv intelligentissima e con mille citazioni giuste. Franzen, in Libertà, aveva ritratto magistralmente una coppietta che era calata perfettamente nel mondo del macrobiotico e la raccolta differenziata. Qui Ludovica e Lorenzo sono quelli che hanno gli amici giusti che scrivono su Vice e Alias e conoscono perfettamente la differenza tra chi suona al Circolo e chi a Le Mura.
Forse il limite di Class è che va fin troppo dentro con le citazioni e i riferimenti reali (ma c'è pure Betani Mapunzo?). Ciò non toglie che sia un grande libro e che non solo si confronti con lo stile di Lethem, ma che anzi riesce a creare un personaggio che è esattamente la sua personificazione e lo spunto per riflessioni letterarie profonde.
Non sappiamo se l'autore non voglia far raggiungere gli obiettivi ai suoi protagonisti perchè pensi che un'artista debba guadagnare e non comprare i suoi risultati, il finale però dimostra che l'spirazione o la creatività non deve seguire un percorso di causa ed effetto, ma a volte deve liberarsi e può essere anche una verità sfuggente e misteriosa.
Nel giardino del Circolo degli artisti, uno dei personaggi ammetterà che tra un disoccupato e un hipster preferirà sempre parlare con il secondo. Sappiamo che quello non è il punto di vista dell'autore, ma è cosi serrato il riferimento ai dettagli dell'universo dell'inutile della nostra città che a volte viene il sospetto che non tutto abbia dignità letteraria. Il talento di Pacifico si, sicuramente. Non vediamo che viene la primavera per amare con nuovi occhi i Platani della Nomentana.
Feedback:
pall youhideme writes:
Il limite di questa fanzine invece č che la gente commenta i post solo per la (s)grammatica. Grazie Stefano, typo corretto.
(19/01/2015 20:44:00 - ip: 78.13....)
Il limite di questa fanzine invece č che la gente commenta i post solo per la (s)grammatica. Grazie Stefano, typo corretto.
(19/01/2015 20:44:00 - ip: 78.13....)
stefano writes:
forse il limite di questa recensione č che forse č scritto forze.
(19/01/2015 18:53:00 - ip: 213.92...)
forse il limite di questa recensione č che forse č scritto forze.
(19/01/2015 18:53:00 - ip: 213.92...)
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