Pare che i migliori registi italiani si stiano menando tra loro già da mesi per aggiudicarsi i diritti de La Ferocia.
Chiunque la spunti, non vorremmo mai essere nei panni dello sceneggiatore a cui poi spetterà davvero di curarne l'adattamento.
Il nuovo libro di Nicola Lagioia riesce a coinvolgere cosí tanti livelli narrativi e scoperchia paesaggi animali cosí vivi, che è difficile immaginarlo in un'eventuale trasposizione che non sia una serie tv iperrealista, o qualche documentario naturalista goth e sperimentale.
Un paio di anni fa, Alexandros Avranas aveva elaborato la sua idea di famiglia-branco, nel tremendo Miss Violence. Lagioia, pur non inseguendo quel tipo di impatto brutale, ed evitando prontamente di servirsi dell'incesto come calcolatissimo espediente narrativo, riesce a raccontare un dramma di sangue ancora più crudo e senza speranza.
A sei anni da Riportando tutto a casa, l'autore barese non solo ci abbandona al destino di una famiglia arresa a segreti e compromessi, ma colloca tutto sotto un'insieme di riflessioni illuminanti sul senso di appartenenza, l'autodeterminazione e l'istinto di conservazione del degrado morale.
Chi ha amato Luce d'Agosto di Faulkner avrà fatto i conti con il senso di predestinazione buio e vendicativo di personaggi come Joe Christmas e Joanna Burden.
Qui, il peccato del capo famiglia dei Salvemini non solo condiziona i suoi figli, ma li mette ancora più disperatamente spalle al muro contro le porte di un sistema in cui la corruzione è un'abitudine inconscia e inevitabile, quasi come quella di un ciclo naturale.
Lagioia non presuppone nemmeno i contatti di Vittorio con la malavita ufficiale, ma elabora un sistema esteso e capillare di compromessi e ricatti che scegliere di disconoscere equivarrebbe solo al desiderio di volerne soccombere.
L'universo di questo libro non ha futuro. La distanza temporale tra la fine della storia e noi è come se accentuasse lo scenario di un nulla a cui siamo destinati tutti.
E' emblematico che anche a forme nobili di riabilitazione sociale come lo studio o la letteratura non è concessa alcuna possibilità. Michele scrive quasi per elemosina o per inseguire una forma di auroterapia.
Il reporter che cerca di incastrare i Salvemini, quasi per una specie di sadomasochismo eretico, che finirà per allontanarlo da tutti.
L'approssimarsi della Crisi, poi, è come se accelerasse un clima di resa dei conti ineluttabile, in cui ognuno può tradire l'altro per poche briciole.
Clara e Michele sono due personaggi che rimangono in contatto per tutta la durata del libro, anche se per la prima c'è in serbo un altro destino.
Noi difficilmente ci separeremo da loro anche dopo averlo finito.
Il finale fa rimpiangere tutte le foto di famiglia che non abbiamo mai pensato di scattare.
Chiunque la spunti, non vorremmo mai essere nei panni dello sceneggiatore a cui poi spetterà davvero di curarne l'adattamento.
Il nuovo libro di Nicola Lagioia riesce a coinvolgere cosí tanti livelli narrativi e scoperchia paesaggi animali cosí vivi, che è difficile immaginarlo in un'eventuale trasposizione che non sia una serie tv iperrealista, o qualche documentario naturalista goth e sperimentale.
Un paio di anni fa, Alexandros Avranas aveva elaborato la sua idea di famiglia-branco, nel tremendo Miss Violence. Lagioia, pur non inseguendo quel tipo di impatto brutale, ed evitando prontamente di servirsi dell'incesto come calcolatissimo espediente narrativo, riesce a raccontare un dramma di sangue ancora più crudo e senza speranza.
A sei anni da Riportando tutto a casa, l'autore barese non solo ci abbandona al destino di una famiglia arresa a segreti e compromessi, ma colloca tutto sotto un'insieme di riflessioni illuminanti sul senso di appartenenza, l'autodeterminazione e l'istinto di conservazione del degrado morale.
Chi ha amato Luce d'Agosto di Faulkner avrà fatto i conti con il senso di predestinazione buio e vendicativo di personaggi come Joe Christmas e Joanna Burden.
Qui, il peccato del capo famiglia dei Salvemini non solo condiziona i suoi figli, ma li mette ancora più disperatamente spalle al muro contro le porte di un sistema in cui la corruzione è un'abitudine inconscia e inevitabile, quasi come quella di un ciclo naturale.
Lagioia non presuppone nemmeno i contatti di Vittorio con la malavita ufficiale, ma elabora un sistema esteso e capillare di compromessi e ricatti che scegliere di disconoscere equivarrebbe solo al desiderio di volerne soccombere.
L'universo di questo libro non ha futuro. La distanza temporale tra la fine della storia e noi è come se accentuasse lo scenario di un nulla a cui siamo destinati tutti.
E' emblematico che anche a forme nobili di riabilitazione sociale come lo studio o la letteratura non è concessa alcuna possibilità. Michele scrive quasi per elemosina o per inseguire una forma di auroterapia.
Il reporter che cerca di incastrare i Salvemini, quasi per una specie di sadomasochismo eretico, che finirà per allontanarlo da tutti.
L'approssimarsi della Crisi, poi, è come se accelerasse un clima di resa dei conti ineluttabile, in cui ognuno può tradire l'altro per poche briciole.
Clara e Michele sono due personaggi che rimangono in contatto per tutta la durata del libro, anche se per la prima c'è in serbo un altro destino.
Noi difficilmente ci separeremo da loro anche dopo averlo finito.
Il finale fa rimpiangere tutte le foto di famiglia che non abbiamo mai pensato di scattare.
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