La serata all'Init è piena zeppa di gente. Fila per entrare, porte rigorosamente chiuse fino alle 22.15 e non si comincia prima delle 22.45.
Ormai, per gli orari dei concerti, non so più come devo regolarmi.
Apre la serata la formazione romana dei Refuso che sta incidendo il suo primo album e, nel frattempo, si esibisce parecchio, tra Roma e Berlino.
La
band conta ben sette elementi: l'ispirato Andrea Treccia D'Amico al
basso, Daniele Casolino al piano, Dario Calfapietra alla chitarra e
glockenspiel, Valerio Iammartino all'altra chitarra e voce,
Pietrina Mancini al violoncello, Martina Pelosi alla voce e Matteo
Ambrosetti alla batteria.
La loro musica è un singolare miscuglio di post-rock Pink Floyd-iano, prog un po' psichedelico, atmosfere leggermente folk e pop italiano impegnato.
Affiatati,
bravi tecnicamente e dediti. Il mio gusto personale mi farebbe suggerir
loro di rendere i cantati (nonostante la bella voce e le indubbie capacità tecniche e di estensione di Martina) meno invasivi, per evitare l'effetto Anna Oxa meets Rachels.
Il che, però, potrebbe essere anche un tratto distintivo. Come ho premesso, il gusto è personale.
Dopo un abbastanza rapido cambio-palco, arrivano i nostri magnifici quattro che stanno per affrontare le ultime date del tour europeo (che si concluderà il
17 ottobre con gli ultimi tre concerti in Romania, dopo aver effettuato
un estenuante tour de force che li ha visti aprire, in giro per gli
USA, durante tutto agosto e buona parte di settembre, per gli Autolux e i Deftones) in occasione dell'uscita del loro ultimo album Tunnel Blanket per la Magic Bullet Rec.
I This Will Destroy You sono
quattro texani ruvidi e un po' marci, tranne il batterista, Alex Bhore,
che, oltre ad essere bravissimo, sembra anche essere
l'unico
bravo ragazzo: non beve, non fuma, parla e sorride a tutti, a
differenza dei tre restanti membri del gruppo che sembrano come avvolti
da una sorta di torpore dionisiaco, lievemente autistici e
chiusi in una specie di timidezza un po' sprezzante. Gli altri, appunto,
Donovan Jones (basso a 5 corde, catafalco tastieroso tipo moog e suonetti vari), Chris King (chitarra e faccia in trance del fu Michel Petrucciani durante gli assoli) e Jeremy Galindo (chitarra, campionamenti
e suonini vari, compresi lamenti di voce distorta) fumano sul palco e
si passano whiskey e birre senza rispetto per la continuità della
gradazione alcolica.
In faccia leggi loro la sofferenza di
quelli che la musica la sentono nelle corde e nel sangue, come sentono
il male della vita e il peso dell'arte.
E, un po', è un
atteggiamento ostentato à la maudit e, un po', è il segno caratteristico
di coloro i quali si ritrovano a vivere un destino che, seppur
piacevole, in fondo non hanno scelto, come, del resto, capita a tutti noi. Questo Vi Distruggerà, evidentemente, non un nome a caso.
Insieme
hanno un sound profondo e potente, radici rurali di un post-rock
sospeso nel tempo che ti entra sotto la pelle e ti scuote le budella.
I
megabassi del sub-woofer centrale, davanti al quale mi sono piazzata,
spostano con vibrazioni vigorose la mia gonnellina e la falda degli
stivali appena sotto alle ginocchia.
Le dinamiche vanno su e
giù di continuo, come montagne russe in cui lente ed emozionanti salite
precedono discese sfrenate e vertiginose, e la tempesta arriva dopo la quiete e poi ritorna la quiete e poi, di nuovo, la tempesta.
I
pezzi sono tutto un susseguirsi di laghi calmi di chitarre rarefatte a
cavalcate dirompenti di batterie energiche, ritmi spezzati e, a volte,
quasi tribali. Loop reiterati, esplosioni rumorose, suoni
allungati e distorti, accordi dolci e veemenza graffiante. E, saranno
pure in ritardo di quasi dieci anni e i gruppi di riferimento li
potrebbe
elencare anche un (indie)bambino (Mogwai, Explosions in the Sky, Godspeed You! Black Emperor e anche un po' Labradford) ma la folla si esibisce in semi-lenti eppur vitali head-banging.
Applausi, trasporto, delirio.
Ad avercene di post-rock cosí. In Italia e nel mondo.
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