This Will Destroy You
Live @ Circolo degli Artisti, Roma, 24/09/2014
w/ Lymbyc Systym
| federico immigrato e rifugiato
I This will destroy you hanno materializzato il loro discorso musicale in tre dischi assolutamente interessanti. In sede di recensione, parlando del loro ultimo e controverso Another language, però, rimandavamo il giudizio finale di tutti i pezzi alla prova dal vivo, convinti che certi concetti di luminosità e movimento avrebbe potuto travolgerci a pieno con il supporto di effetti visivi, distorsioni caleidoscopiche e volumi debordanti.
Ora, qui al Circolo degli Artisti di Roma, o il loro tecnico delle luci è rimasto fuori a guardarsi in loop il replay dello splendido gol di Pjanic al Parma*, oppure i nostri hanno preferito puntare sulla presenza scenica del loro bassista Donovan Jones.
I due chitarristi stavano in disparte. Uno seduto a lato, l'altro era al buio e si vedeva solo mezza faccia sotto il cappelletto, come se avesse sbagliato i colori della camicia davanti a quegli sfondi delle previsioni del tempo in cui se la comandano le illusioni ottiche del cosiddetto chroma key.
A parte il piccolo schermo di rappresentanza per proiettare delle immagini sul grigio però, i quattro si sono esibiti senza il supporto di nessun altro gioco di luce troppo elaborato. In confronto le dissolvenze cromatiche del Colonnello Massimo Morico del Meteo di Raidue sono una festa a base di LSD a casa del maestro Timothy Leary.
A parte tutto, il fatto che i This Will Destroy You abbiano puntato il set esclusivamente sul loro suono è più che lecito, visto che la resa complessiva dei loro pezzi dal vivo è ottima e tutta la modulazione degli effetti mantiene lo stesso controllo impressionante che si registra nei dischi.
Il problema più generale semmai, non è che ai texani basta esibirsi senza altri supporti, ma è proprio che loro alla lunga diano l'idea di accontentarsi platealmente di qualsiasi cosa suonino, senza una ricerca troppo complessa di quello che elaborano o una cernita troppo rigorosa del materiale che assemblano in produzione. La successione sconfinata dei loro riverberi fa pensare che l'importanza che i This Will Destroy You danno al concetto di scia sonica, alla base della loro proposta, soffochi tutto il resto, anche l'attenzione a cosa effettivamente facciano di volta in volta.
Sarà che il pubblico veramente numeroso in certi momenti era davvero in estasi e accompagnava le esplosioni finali sempre uguali con ovazioni da stadio, ma noi a lungo ci siamo sentiti come una minoranza nella minoranza, o come un genitore quarantenne che a un certo punto non capisce lo slang del proprio figlio quando parla con gli amici. Non è che speriamo che nostra figlia a quattordici anni parli come Carmelo Bene, però prima della fine del concerto rimpiangevamo il magnetismo degli immensi Godspeed You! Black Emperor. Non per un discorso di complessità fine a se stessa, ma per l'idea di come la band canadese riesce sempre a uscirne come l'entità che controlla il flusso e non come il tizio che spinge l'Holy Grail e basta.
Il successo di Twdy di stasera, e quello di God is an astronaut all'Orion di pochi giorni prima, mi fa pensare che ci sia una inconsapevole voglia di abbandonarsi sempre alla soluzione più facile o al cliché, anche da parte di chi in partenza sceglie un genere poco commerciabile. Il fatto che Another language sia meno riuscito rispetto al primo disco omonimo in questo ha una grande incidenza.
Menzione di merito per il batterista, la vera rivelazione della serata. Alzando vorticosamente le braccia nei momenti di maggiore intensità emergeva ogni volta come una specie di mostro marino che dallo sfondo poi divorava tutto. A un certo punto ci sono arrivati pure gli schizzi, ma forse era solo perché ha cominciato a piovere.
*Non abbiamo potuto assistere al set in apertura dei Lymbyc Systym. Quando entriamo dopo aver ammirato il decimo replay della punizione di Pjanic', i fratelli Bell avevano appena terminato la loro jam finale con un paio dei Twdy.
Ora, qui al Circolo degli Artisti di Roma, o il loro tecnico delle luci è rimasto fuori a guardarsi in loop il replay dello splendido gol di Pjanic al Parma*, oppure i nostri hanno preferito puntare sulla presenza scenica del loro bassista Donovan Jones.
I due chitarristi stavano in disparte. Uno seduto a lato, l'altro era al buio e si vedeva solo mezza faccia sotto il cappelletto, come se avesse sbagliato i colori della camicia davanti a quegli sfondi delle previsioni del tempo in cui se la comandano le illusioni ottiche del cosiddetto chroma key.
A parte il piccolo schermo di rappresentanza per proiettare delle immagini sul grigio però, i quattro si sono esibiti senza il supporto di nessun altro gioco di luce troppo elaborato. In confronto le dissolvenze cromatiche del Colonnello Massimo Morico del Meteo di Raidue sono una festa a base di LSD a casa del maestro Timothy Leary.
A parte tutto, il fatto che i This Will Destroy You abbiano puntato il set esclusivamente sul loro suono è più che lecito, visto che la resa complessiva dei loro pezzi dal vivo è ottima e tutta la modulazione degli effetti mantiene lo stesso controllo impressionante che si registra nei dischi.
Il problema più generale semmai, non è che ai texani basta esibirsi senza altri supporti, ma è proprio che loro alla lunga diano l'idea di accontentarsi platealmente di qualsiasi cosa suonino, senza una ricerca troppo complessa di quello che elaborano o una cernita troppo rigorosa del materiale che assemblano in produzione. La successione sconfinata dei loro riverberi fa pensare che l'importanza che i This Will Destroy You danno al concetto di scia sonica, alla base della loro proposta, soffochi tutto il resto, anche l'attenzione a cosa effettivamente facciano di volta in volta.
Sarà che il pubblico veramente numeroso in certi momenti era davvero in estasi e accompagnava le esplosioni finali sempre uguali con ovazioni da stadio, ma noi a lungo ci siamo sentiti come una minoranza nella minoranza, o come un genitore quarantenne che a un certo punto non capisce lo slang del proprio figlio quando parla con gli amici. Non è che speriamo che nostra figlia a quattordici anni parli come Carmelo Bene, però prima della fine del concerto rimpiangevamo il magnetismo degli immensi Godspeed You! Black Emperor. Non per un discorso di complessità fine a se stessa, ma per l'idea di come la band canadese riesce sempre a uscirne come l'entità che controlla il flusso e non come il tizio che spinge l'Holy Grail e basta.
Il successo di Twdy di stasera, e quello di God is an astronaut all'Orion di pochi giorni prima, mi fa pensare che ci sia una inconsapevole voglia di abbandonarsi sempre alla soluzione più facile o al cliché, anche da parte di chi in partenza sceglie un genere poco commerciabile. Il fatto che Another language sia meno riuscito rispetto al primo disco omonimo in questo ha una grande incidenza.
Menzione di merito per il batterista, la vera rivelazione della serata. Alzando vorticosamente le braccia nei momenti di maggiore intensità emergeva ogni volta come una specie di mostro marino che dallo sfondo poi divorava tutto. A un certo punto ci sono arrivati pure gli schizzi, ma forse era solo perché ha cominciato a piovere.
*Non abbiamo potuto assistere al set in apertura dei Lymbyc Systym. Quando entriamo dopo aver ammirato il decimo replay della punizione di Pjanic', i fratelli Bell avevano appena terminato la loro jam finale con un paio dei Twdy.
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