Ieri ha preso il via alla Basilica di Massenzio a Roma, il Festival delle Letterature.
Lo scrittore romano Fabio Viola non farà parte del prestigioso programma degli interventi che vedrà protagonisti - tra gli altri - Emanule Trevi, Saviano e Zadie Smith.
Il tema della rassegna diretta da Maria Ida Gaeta del resto quest'anno è dedicata al tema dei Sogni che si concretizzano e diventano realtà.
Sparire - invece - rappresenta esattamente il viaggio opposto.
In uno dei romanzi che ci ha colpito in questa prima parte del 2013, Viola parte da un vissuto spoglio e retrattile per poi abbandonarsi, se non all'idea di sogno, alla proiezione emozionale di una realtà apparentemente doppia e impenetrabile. A partire dall'idea di spaesamento per il trasferimento in Giappone, il senso della perdita per la scomparsa dell'ex compagna e l'approssimarsi di situazioni surreali, l'autore de Gli Intervistatori qui ribaltà la percezione di verità attese o presunte, realizzando un romanzo dove i vuoti si aprono sempre in condotte umorali complesse e discordi.
Siamo riusciti a contattare Fabio Viola per scambiare qualche impressione in più sul suo romanzo pubblicato da Marsilio e ricco di riferimenti colti ai circuiti indie/new-wave che abbiamo sempre apprezzato.
Federico Immigrato e Rifugiato: Il libro conduce ad una rappresentazione assolutamente complessa di Ennio, il protagonista. Per certi versi sembri insistere su una personalità opaca e poco vitale, dall'altro procedi a districare l'intrecciatissimo sistema delle sue proiezioni emotive. Volevi evidenziare questa sorta di bipolarismo latente? Il lato introverso e un pò arido delle prime pagine ti serviva per sviluppare la crescita del personaggio oppure ci tenevi a riabilitare lo spessore di un certo tipo di apaticità?
Fabio Viola: Il protagonista del romanzo non ha una vera e propria "crescita" nel corso della narrazione. Vengono fuori alcuni aspetti della sua personalità, ma non c'è un'evoluzione. Non vengono sciolti dei nodi. Anzi semmai c'è una specie di "involuzione", Ennio abbandona progressivamente la cosiddetta realtà in favore della narrazione di se stesso, comincia a costruire fatti e rapporti attraverso la parola, l'invenzione, la menzogna. In un certo senso si tratta di un'auto-fiction, che anziché avere a che fare con l'autore scaturisce direttamente dal personaggio.
Per quanto riguarda il suo essere apatico, del tutto attonito nei confronti della vita, quello è il suo modo di stare al mondo, concentrato sul passato e su uno status quo che vuole ristabilire. La scomparsa improvvisa della sua ex fidanzata mette in crisi quel sistema e lui, andando in Giappone per riappropriarsene (tanto di Elisa quanto del suo equilibrio) sancisce la fine di tutto ciò che prima, forse, aveva chiamato "realtà".
Federico: Ennio per trovare una sua identità pare aggrapparsi quasi fisicamente alla sua dimensione di bassista. Il libro poi è denso di riferimenti musicali a band che apprezziamo come Sonic Youth, Depeche Mode, Tuxedomoon. Anche tu suonavi? Il riferimento a un certo tipo di gruppi è casuale o ti serviva per rafforzare il lato lo-fi, se non propriamente semi-indie-nerd dei protagonisti?
Fabio Viola: L'interesse di Ennio per la musica è, come pressoché tutto ciò che lo riguarda, velleitario. In parte è un tic culturale, un automatismo della sua generazione; ma lui suona anche perché lo aiuta a far passare il tempo, ascolta la musica perché è un'esperienza che può fare da solo e lo aiuta a estraniarsi, non si tratta di un tratto prettamente sociale del personaggio. La musica è sempre stata la mia più grande passione e ammetto che mi sono divertito a inserire precisi riferimenti musicali all'interno del romanzo, anche perché ho scelto artisti e brani che fossero in sintonia con Ennio e l'atmosfera in cui si muove. Comunque sí, ai tempi dell'università suonavo. Forse in maniera parzialmente velleitaria anch'io, non lo so, ero completamente autodidatta. Ma di certo ero animato da una passione che a Ennio manca.
Federico: Consentici la domanda telefonata. Descrivi in maniera molto intensa il disastro del terremoto in Giappone di due anni fa. Noi in Italia abbiamo vissuto tutto in maniera distorta. L'eco si alimentava soprattutto in relazione al problema nucleare e meno rispetto a quello che succedeva nel resto del paese. Dove ti trovavi negli attimi di quel dramma?
Fabio Viola: Nel romanzo la questione del cataclisma giapponese del 2011 è cruciale. Viene descritto con violenza parossistica l'impatto del terremoto su Osaka, città che in realtà non fu neanche sfiorata dall'evento: né dalla scossa, né dallo tsunami, e solo in maniera marginale dalla crisi del reattore di Fukushima (o almeno cosí hanno riferito le autorità). Questo perché il disastro descritto nel romanzo è un evento interiore, sancisce la fine della "realtà" del protagonista, lo sfarinamento definitivo dei nessi di causa-effetto. Ho evitato accuratamente di usare quel disastro come pretesto per scrivere una testimonianza. Nel marzo del 2011 mi trovavo a Roma ed ero in partenza per il Giappone, ma per via della catastrofe dovetti rimandare di alcune settimane. Più che per il terremoto e lo tsunami per il problema di Fukushima. Ma anche assistere al disastro da qui è stata un'esperienza traumatica, per me. Vedere il Paese che era stato casa mia per degli anni (e che tutt'ora considero "casa") colpito con tale violenza mi ha gettato nello sconforto, nella paura.
Federico: Questa domanda la lasciamo ai lettori a prova di spoilering... Hai sempre pensato a un ritrovamento cosí dimesso e introverso tra Ennio ed Elisa?
Fabio Viola: Senza voler fare spoiler, l'incontro tra Ennio e la sua ex fidanzata "avviene" in seguito al cataclisma interiore di cui parlavo prima. Tutta la parte che segue poi è rarefatta, sospesa, tra paesaggi nevosi e città distrutte, accampamenti di sopravvissuti e sogni di cui non si intravede né l'inizio né la fine. E tuttavia è proprio in questa parte che il Giappone come personaggio emerge davvero, mentre nella precedente è ingabbiato nella visione disinteressata e pigra che ne ha il protagonista. Questo sempre perché non avevo alcun desiderio di proporre l'ennesima, inutile visione esotistica del Giappone, il Paese "strano" per eccellenza, su cui ci si sente automaticamente in dovere di esprimere un'opinione, di proporre un'interpretazione, di venderne un'immagine più o meno stereotipata. Nella prima parte del romanzo ho voluto irridere apertamente l'orientalismo di cui è vittima il Giappone, proponendone una visione glaciale, inquietante, addirittura sinistra, che non è che lo specchio del mondo interiore di Ennio.
Federico: Che libri ti hanno colpito ultimamente. Puoi farci una personalissima playlist?
Fabio Viola: Ultimamente le "Cronache marziane" di Ray Bradbury, "L'incontro segreto" di Abe Kōbō, "I segnalati" di Giordano Tedoldi e "Cosmo" di Witold Gombrowicz (che non ho scoperto cosí di recente ma continuo a rileggere). Tutti libri che non sono proni nei confronti della "realtà" ma propugnano una visione, smantellano la logica, mettono in crisi il rapporto dell'individuo con la vita. Non è un romanzo ma in questa ottica anche la raccolta di interviste a David Lynch, "Perdersi è meraviglioso", pubblicata pochi mesi fa da minimum fax, è straordinaria.
Lo scrittore romano Fabio Viola non farà parte del prestigioso programma degli interventi che vedrà protagonisti - tra gli altri - Emanule Trevi, Saviano e Zadie Smith.
Il tema della rassegna diretta da Maria Ida Gaeta del resto quest'anno è dedicata al tema dei Sogni che si concretizzano e diventano realtà.
Sparire - invece - rappresenta esattamente il viaggio opposto.
In uno dei romanzi che ci ha colpito in questa prima parte del 2013, Viola parte da un vissuto spoglio e retrattile per poi abbandonarsi, se non all'idea di sogno, alla proiezione emozionale di una realtà apparentemente doppia e impenetrabile. A partire dall'idea di spaesamento per il trasferimento in Giappone, il senso della perdita per la scomparsa dell'ex compagna e l'approssimarsi di situazioni surreali, l'autore de Gli Intervistatori qui ribaltà la percezione di verità attese o presunte, realizzando un romanzo dove i vuoti si aprono sempre in condotte umorali complesse e discordi.
Siamo riusciti a contattare Fabio Viola per scambiare qualche impressione in più sul suo romanzo pubblicato da Marsilio e ricco di riferimenti colti ai circuiti indie/new-wave che abbiamo sempre apprezzato.
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Federico Immigrato e Rifugiato: Il libro conduce ad una rappresentazione assolutamente complessa di Ennio, il protagonista. Per certi versi sembri insistere su una personalità opaca e poco vitale, dall'altro procedi a districare l'intrecciatissimo sistema delle sue proiezioni emotive. Volevi evidenziare questa sorta di bipolarismo latente? Il lato introverso e un pò arido delle prime pagine ti serviva per sviluppare la crescita del personaggio oppure ci tenevi a riabilitare lo spessore di un certo tipo di apaticità?
Fabio Viola: Il protagonista del romanzo non ha una vera e propria "crescita" nel corso della narrazione. Vengono fuori alcuni aspetti della sua personalità, ma non c'è un'evoluzione. Non vengono sciolti dei nodi. Anzi semmai c'è una specie di "involuzione", Ennio abbandona progressivamente la cosiddetta realtà in favore della narrazione di se stesso, comincia a costruire fatti e rapporti attraverso la parola, l'invenzione, la menzogna. In un certo senso si tratta di un'auto-fiction, che anziché avere a che fare con l'autore scaturisce direttamente dal personaggio.
Per quanto riguarda il suo essere apatico, del tutto attonito nei confronti della vita, quello è il suo modo di stare al mondo, concentrato sul passato e su uno status quo che vuole ristabilire. La scomparsa improvvisa della sua ex fidanzata mette in crisi quel sistema e lui, andando in Giappone per riappropriarsene (tanto di Elisa quanto del suo equilibrio) sancisce la fine di tutto ciò che prima, forse, aveva chiamato "realtà".
Federico: Ennio per trovare una sua identità pare aggrapparsi quasi fisicamente alla sua dimensione di bassista. Il libro poi è denso di riferimenti musicali a band che apprezziamo come Sonic Youth, Depeche Mode, Tuxedomoon. Anche tu suonavi? Il riferimento a un certo tipo di gruppi è casuale o ti serviva per rafforzare il lato lo-fi, se non propriamente semi-indie-nerd dei protagonisti?
Fabio Viola: L'interesse di Ennio per la musica è, come pressoché tutto ciò che lo riguarda, velleitario. In parte è un tic culturale, un automatismo della sua generazione; ma lui suona anche perché lo aiuta a far passare il tempo, ascolta la musica perché è un'esperienza che può fare da solo e lo aiuta a estraniarsi, non si tratta di un tratto prettamente sociale del personaggio. La musica è sempre stata la mia più grande passione e ammetto che mi sono divertito a inserire precisi riferimenti musicali all'interno del romanzo, anche perché ho scelto artisti e brani che fossero in sintonia con Ennio e l'atmosfera in cui si muove. Comunque sí, ai tempi dell'università suonavo. Forse in maniera parzialmente velleitaria anch'io, non lo so, ero completamente autodidatta. Ma di certo ero animato da una passione che a Ennio manca.
Federico: Consentici la domanda telefonata. Descrivi in maniera molto intensa il disastro del terremoto in Giappone di due anni fa. Noi in Italia abbiamo vissuto tutto in maniera distorta. L'eco si alimentava soprattutto in relazione al problema nucleare e meno rispetto a quello che succedeva nel resto del paese. Dove ti trovavi negli attimi di quel dramma?
Fabio Viola: Nel romanzo la questione del cataclisma giapponese del 2011 è cruciale. Viene descritto con violenza parossistica l'impatto del terremoto su Osaka, città che in realtà non fu neanche sfiorata dall'evento: né dalla scossa, né dallo tsunami, e solo in maniera marginale dalla crisi del reattore di Fukushima (o almeno cosí hanno riferito le autorità). Questo perché il disastro descritto nel romanzo è un evento interiore, sancisce la fine della "realtà" del protagonista, lo sfarinamento definitivo dei nessi di causa-effetto. Ho evitato accuratamente di usare quel disastro come pretesto per scrivere una testimonianza. Nel marzo del 2011 mi trovavo a Roma ed ero in partenza per il Giappone, ma per via della catastrofe dovetti rimandare di alcune settimane. Più che per il terremoto e lo tsunami per il problema di Fukushima. Ma anche assistere al disastro da qui è stata un'esperienza traumatica, per me. Vedere il Paese che era stato casa mia per degli anni (e che tutt'ora considero "casa") colpito con tale violenza mi ha gettato nello sconforto, nella paura.
Federico: Questa domanda la lasciamo ai lettori a prova di spoilering... Hai sempre pensato a un ritrovamento cosí dimesso e introverso tra Ennio ed Elisa?
Fabio Viola: Senza voler fare spoiler, l'incontro tra Ennio e la sua ex fidanzata "avviene" in seguito al cataclisma interiore di cui parlavo prima. Tutta la parte che segue poi è rarefatta, sospesa, tra paesaggi nevosi e città distrutte, accampamenti di sopravvissuti e sogni di cui non si intravede né l'inizio né la fine. E tuttavia è proprio in questa parte che il Giappone come personaggio emerge davvero, mentre nella precedente è ingabbiato nella visione disinteressata e pigra che ne ha il protagonista. Questo sempre perché non avevo alcun desiderio di proporre l'ennesima, inutile visione esotistica del Giappone, il Paese "strano" per eccellenza, su cui ci si sente automaticamente in dovere di esprimere un'opinione, di proporre un'interpretazione, di venderne un'immagine più o meno stereotipata. Nella prima parte del romanzo ho voluto irridere apertamente l'orientalismo di cui è vittima il Giappone, proponendone una visione glaciale, inquietante, addirittura sinistra, che non è che lo specchio del mondo interiore di Ennio.
Federico: Che libri ti hanno colpito ultimamente. Puoi farci una personalissima playlist?
Fabio Viola: Ultimamente le "Cronache marziane" di Ray Bradbury, "L'incontro segreto" di Abe Kōbō, "I segnalati" di Giordano Tedoldi e "Cosmo" di Witold Gombrowicz (che non ho scoperto cosí di recente ma continuo a rileggere). Tutti libri che non sono proni nei confronti della "realtà" ma propugnano una visione, smantellano la logica, mettono in crisi il rapporto dell'individuo con la vita. Non è un romanzo ma in questa ottica anche la raccolta di interviste a David Lynch, "Perdersi è meraviglioso", pubblicata pochi mesi fa da minimum fax, è straordinaria.
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