Tarwater
Live 26 ottobre 2011, Roma, Circolo degli Artisti
Ingr. 8 euro + 1,50 euro d.p.
| enantiodromica
E' una serata tranquilla e il clima è mite, nel giardino del Circolo.
Fine Ottobre sembra inizio Settembre e Roma non sembra quasi Roma: infatti gioca la Roma, nel senso del calcio. Avrei dovuto capirlo, dalla quasi totale assenza di esseri umani in giro per la città e dalla facilità con cui ho parcheggiato.
Io che, memore degli orari impazziti e flessibili per l'inizio dei concerti, mi sono precipitata lí per le 21:30, scopro che i Tarwater cominceranno a suonare non prima delle 22:30. E non c'è nemmeno il gruppo spalla.
Potenza di ventidue semianalfabeti che prendono a calci una palla.
Vabbè, per fortuna che mi porto sempre da leggere (appunto per me: ricordati di telefonare, nel pomeriggio, per sapere l'ora PRECISA in cui inizieranno i concerti).
Un'oretta passa presto e i signori Lippok e Jestram cominciano a suonare abbastanza puntuali.
Inside the ships, edito per la tedesca Bureau-b, è la loro undicesima fatica discografica, a partire da quel piccolo capolavoro d'esordio che è stato 11/6 12/10, stampato dalla Kitty-Yo nel 1996.
In mezzo ci sono state: colonne sonore per film e cortometraggi; musiche per opere teatrali, spettacoli di danza, installazioni d'arte e sfilate dell'alta moda (persino un'ardita rivisitazione della Tosca di Puccini); remix per i Goldfrapp, collaborazioni con i Tuxedomoon e con B. Fleischmann, oltreché, ovviamente, le release per le prestigiose Mute e Morr Music e l'inevitabile interazione con i To Rococo Rot, progetto parallelo di Ronald Lippok stesso.
Quello che cerco di capire, immediatamente, coinvolgendo i miei amichetti musicisti presenti tra il pubblico, è che tipo di strumentazione usino i Tarwater per suonare dal vivo.
Le uniche cose certe sono che Ronald Lippok canta (o meglio, recita in tono monocorde dei canto-parlati ipnotici e un po' gutturali) e che Bernd Jestram suona il basso. Per il resto, brancoliamo tutti nel buio.
Ronald, oltre al microfono, potrebbe avere: a) una tastiera, un sequencer e un mixerino; b) una tastiera-sequencer e un mixerino; c) al posto del mixerino, l'attrezzo che si usa per gestire esternamente anche Ableton Live (cosa che escluderei visto che non aveva un computer); d) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, i loop e gli effetti per la voce.
Bernd, oltre al basso, potrebbe avere: a) una drum machine; b) un Kaoss Pad; c) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, le ritmiche e gli effetti per il basso.
A ogni modo, qualsiasi cosa usino la usano molto bene, con la maturità e la naturale sicurezza dei signori navigati che sono ormai diventati, e la passione dei musicisti coerenti e fedeli a loro stessi che continuano ad essere.
Suonano di filato dodici pezzi, i primi sei presi da Inside the ships, compresi le cover Sato Sato, rivisitazione di un brano dei D.A.F., e Do the Oz, B-side di un singolo realizzato da John Lennon e Yoko Ono nel 1971 per sostenere la causa della rivista alternativa Oz, in quegli anni sotto processo per "oscenità".
Poi fanno delle incursioni negli altri album con la bellissima Ford, riesumata da Silur, Babylonian Tower, macchiata di venature blues e tratta da The needle was travelling, la folkeggiante All of the ants left Paris presa da Animals, suns & atoms, la dronica Recitative, bonus track dal penultimo album Spider smile, l'ubriaca Tesla da Dwellers on the treshold, per poi tornare a Inside the ships con la crepuscolare Palace at 5 a.m.
Verso la fine di questa canzone Mister Lippok si assenta dal palco per qualche secondo, dopo aver sussurrato qualcosa nell'orecchio al suo compare - che sorride, malizioso, e continua a suonare da solo - per poi riemergere dal back-stage con una piccola bottiglia di whisky (o whiskey che dir si voglia) che offrirà anche al pubblico della prima fila.
Poi, si assentano entrambi per qualche secondo e tornano per un unico, ultimo bis.
L'impressione generale è che i Tarwater continuano a piacere e ad appassionare, anche se hanno perso, inevitabilmente, un po' del guizzo e dell'energia che li contraddistingueva, soprattutto nei primi due dischi, e anche se, dal vivo, rischiano di risultare un pochino freddi, alla lunga.
Per esempio, se avessero aggiunto come elemento live Detlef Pegelow, che ha suonato su Inside the ships tuba, sassofono, tromba e trombone, il concerto sarebbe risultato sicuramente più interessante ed emozionante.
A fine concerto ho chiesto al tecnico di palco se potessi avere il foglio con la set-list della serata, appoggiato sul tavolino della strumentazione di Bernd ma la risposta è stata negativa perché la scaletta, minuziosamente scritta a pennarello nero e con gli accordi a margine dei titoli, viene evidentemente usata tutte le sere. Allora ho tentato di fotografarla, proprio nel momento in cui la memory card della mia macchinetta fotografica ha deciso di entrare in tilt, facendomi perdere anche tutte le altre foto del concerto. Un'altra tecnica di palco si è impietosita, ha preso il foglio ed è tornata dopo qualche secondo dicendomi di aspettare perché Bernd lo stava ricopiando.
Avete capito bene?
Il Signor Jestram in persona, a fine concerto, si mette a ricopiare, a mano, per una nerd rompicoglioni la scaletta delle canzoni, avendo persino l'accortezza di scrivere per intero i titoli che sulla sua, invece, erano abbreviati.
Queste lezioni di umiltà e umanità mi sorprendono sempre.
Grazie, Bernd.
Fine Ottobre sembra inizio Settembre e Roma non sembra quasi Roma: infatti gioca la Roma, nel senso del calcio. Avrei dovuto capirlo, dalla quasi totale assenza di esseri umani in giro per la città e dalla facilità con cui ho parcheggiato.
Io che, memore degli orari impazziti e flessibili per l'inizio dei concerti, mi sono precipitata lí per le 21:30, scopro che i Tarwater cominceranno a suonare non prima delle 22:30. E non c'è nemmeno il gruppo spalla.
Potenza di ventidue semianalfabeti che prendono a calci una palla.
Vabbè, per fortuna che mi porto sempre da leggere (appunto per me: ricordati di telefonare, nel pomeriggio, per sapere l'ora PRECISA in cui inizieranno i concerti).
Un'oretta passa presto e i signori Lippok e Jestram cominciano a suonare abbastanza puntuali.
Inside the ships, edito per la tedesca Bureau-b, è la loro undicesima fatica discografica, a partire da quel piccolo capolavoro d'esordio che è stato 11/6 12/10, stampato dalla Kitty-Yo nel 1996.
In mezzo ci sono state: colonne sonore per film e cortometraggi; musiche per opere teatrali, spettacoli di danza, installazioni d'arte e sfilate dell'alta moda (persino un'ardita rivisitazione della Tosca di Puccini); remix per i Goldfrapp, collaborazioni con i Tuxedomoon e con B. Fleischmann, oltreché, ovviamente, le release per le prestigiose Mute e Morr Music e l'inevitabile interazione con i To Rococo Rot, progetto parallelo di Ronald Lippok stesso.
Quello che cerco di capire, immediatamente, coinvolgendo i miei amichetti musicisti presenti tra il pubblico, è che tipo di strumentazione usino i Tarwater per suonare dal vivo.
Le uniche cose certe sono che Ronald Lippok canta (o meglio, recita in tono monocorde dei canto-parlati ipnotici e un po' gutturali) e che Bernd Jestram suona il basso. Per il resto, brancoliamo tutti nel buio.
Ronald, oltre al microfono, potrebbe avere: a) una tastiera, un sequencer e un mixerino; b) una tastiera-sequencer e un mixerino; c) al posto del mixerino, l'attrezzo che si usa per gestire esternamente anche Ableton Live (cosa che escluderei visto che non aveva un computer); d) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, i loop e gli effetti per la voce.
Bernd, oltre al basso, potrebbe avere: a) una drum machine; b) un Kaoss Pad; c) una connessione telepatica con la Divinità Germanica dell'Indie-tronica che gli manda in aero-diffusione estemporanea i campioni pre-registrati, le ritmiche e gli effetti per il basso.
A ogni modo, qualsiasi cosa usino la usano molto bene, con la maturità e la naturale sicurezza dei signori navigati che sono ormai diventati, e la passione dei musicisti coerenti e fedeli a loro stessi che continuano ad essere.
Suonano di filato dodici pezzi, i primi sei presi da Inside the ships, compresi le cover Sato Sato, rivisitazione di un brano dei D.A.F., e Do the Oz, B-side di un singolo realizzato da John Lennon e Yoko Ono nel 1971 per sostenere la causa della rivista alternativa Oz, in quegli anni sotto processo per "oscenità".
Poi fanno delle incursioni negli altri album con la bellissima Ford, riesumata da Silur, Babylonian Tower, macchiata di venature blues e tratta da The needle was travelling, la folkeggiante All of the ants left Paris presa da Animals, suns & atoms, la dronica Recitative, bonus track dal penultimo album Spider smile, l'ubriaca Tesla da Dwellers on the treshold, per poi tornare a Inside the ships con la crepuscolare Palace at 5 a.m.
Verso la fine di questa canzone Mister Lippok si assenta dal palco per qualche secondo, dopo aver sussurrato qualcosa nell'orecchio al suo compare - che sorride, malizioso, e continua a suonare da solo - per poi riemergere dal back-stage con una piccola bottiglia di whisky (o whiskey che dir si voglia) che offrirà anche al pubblico della prima fila.
Poi, si assentano entrambi per qualche secondo e tornano per un unico, ultimo bis.
L'impressione generale è che i Tarwater continuano a piacere e ad appassionare, anche se hanno perso, inevitabilmente, un po' del guizzo e dell'energia che li contraddistingueva, soprattutto nei primi due dischi, e anche se, dal vivo, rischiano di risultare un pochino freddi, alla lunga.
Per esempio, se avessero aggiunto come elemento live Detlef Pegelow, che ha suonato su Inside the ships tuba, sassofono, tromba e trombone, il concerto sarebbe risultato sicuramente più interessante ed emozionante.
A fine concerto ho chiesto al tecnico di palco se potessi avere il foglio con la set-list della serata, appoggiato sul tavolino della strumentazione di Bernd ma la risposta è stata negativa perché la scaletta, minuziosamente scritta a pennarello nero e con gli accordi a margine dei titoli, viene evidentemente usata tutte le sere. Allora ho tentato di fotografarla, proprio nel momento in cui la memory card della mia macchinetta fotografica ha deciso di entrare in tilt, facendomi perdere anche tutte le altre foto del concerto. Un'altra tecnica di palco si è impietosita, ha preso il foglio ed è tornata dopo qualche secondo dicendomi di aspettare perché Bernd lo stava ricopiando.
Avete capito bene?
Il Signor Jestram in persona, a fine concerto, si mette a ricopiare, a mano, per una nerd rompicoglioni la scaletta delle canzoni, avendo persino l'accortezza di scrivere per intero i titoli che sulla sua, invece, erano abbreviati.
Queste lezioni di umiltà e umanità mi sorprendono sempre.
Grazie, Bernd.
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